La Storia di Carbonin
UN PO' DI NOZIONI
LA STORIA DI CARBONIN
A quei tempi il colore delle rocce dolomitiche era nero, nero, nero … come il carbon: per questo motivo il re si chiamava appunto “re carbon”. Il principe Carbonin – un bellissimo giovane di animo sensibile e poetico, amante dei chiarori lunari, delle bellezze dell’alba e del tramonto – mal sopportava il nero colore delle rocce, che rendeva l’ambiente triste e funereo. Nelle notti di luna piena, in completa solitudine, egli scalava una altissima guglia dalla quale poteva ammirare uno stupendo spettacolo che lo colmava di gioia. Ai piedi della guglia, mille metri al di sotto, un limpido lago rifletteva l’argentea immagine della luna. Carbonin rimaneva in estatica visione fin quasi all’alba, quando il candore della luna a poco a poco svaniva; allora, a malincuore e molto triste, ritornava nella valle nera, nera, nera… come il carbon.
Bisogna sapere che a quei tempi viveva sulla luna una graziosa fanciulla, Misurina, figlia del re della luna. La ragazza, con l’acutissima vista che hanno gli abitanti della luna, da lungo tempo osservava Carbonin nelle sue scalate durante le notti di plenilunio; comprendeva pienamente i sentimenti che lo animavano ed agognava di vederlo e di parlargli. Così Misurina, una notte di estate di luna piena, con il cielo particolarmente terso, ruppe gli indugi e lasciandosi scivolare sui raggi di luna arrivò sulla riva del lago ai piedi della guglia dove sostava Carbonin. Il giovane, ammaliato dalla luce che emanava dalla ragazza, rapidamente si calò lungo le pareti sino a trovarsi a fianco di Misurina. I due giovani stettero a lungo a guardarsi in profondo silenzio, sentirono che un grande amore li univa … e decisero di sposarsi e di vivere insieme per sempre.
Il matrimonio avvenne tre mesi dopo. Alle feste, che durarono sei mesi, parteciparono tutte le genti delle dolomiti che volevano molto bene al loro principe perché era mite di core e molto generoso: anche i pastori, che abitavano sui pascoli più alti o nelle vallette più profonde, lasciarono le capanne con l’intera famiglia per raggiungere val di ladro, la piana di Carbonin ed i boschi, su su sino a Cimabanche. E fu un danzare e una cantare continuo al ritmo del tipico jodel. e, fatto del tutto eccezionale, era presente anche una rappresentanza degli gnomi: essere fantastici che vivono in caverne nel tolto dei boschi di conifere (pini, abeti, larici). Misurina, commossa da quelle gioiose manifestazioni di affetto, era felice e contenta.
Trascorsero altri mesi… e col passar del tempo la giovane sposa cominciò a sentirsi oppressa da quelle rocce nere, nere, nere… come il carbon.
Una grande nostalgia dello splendore della sua luna nacque dentro di sé, le vennero meno l’appetito e la voglia ed il gusto di vivere; diventata debole e pallida, trascorreva il tempo a letto. Carbonin, il re carbon e tutti i consiglieri erano molto addolorati e preoccupati; furono chiamati i più famosi dottori del regno ma nessuno seppe prescrivere una cura per la guarigione.
La brutta notizia fu appresa anche da tutti gli animali che vivevano nei boschi e sulle cime e così migliaia di cerbiatti, caprioli, camosci, scoiattoli, marmotte, volpi, lepri, donnole. E tutti gli uccelli, aquile, falchi, galli cedroni, gufi, pernici, picchi…. Corsero a chiedere aiuto a Lavaredo, re degli gnomi.
Senza indugiare, Lavaredo ed i suoi due figli dettero ordine di mettersi in marcia nel massimo silenzio per raggiungere a notte fonda la sommità delle vette, delle guglie, delle pareti.
Ed in una limpidissima notte estiva di plenilunio, mentre gli uomini del tutto ignari dormivano nelle loro case, questo immenso esercito iniziò un enorme lavoro.
Gli uccelli, con il becco, divisero i raggi di luna gli uni dagli altri, formandone lunghissimi fili di argento; gli altri animali, e gli gnomi, avvolsero questi fili in grandissime matasse.
Quando queste furono completate si iniziò, da tutte le cime, a dipanarle facendo scendere
i fili d’argento a ricoprire le rocce. Nel compiere questo pericoloso lavoro molti animali e molti gnomi si graffiarono, cosicché i raggi assunsero vari colori; dal rosa pallido, all’arancione, al rosso vivo.
Allo spuntar dell’alba il lavoro era completamente finito.
Quando Misurina quella mattina si svegliò, e le damigelle aprirono le finestre della camera, fu grande il suo stupore nel vedere i monti non più neri ma splendenti per le indescrivibili meravigliose tinte.
La principessa era estasiata ad ammirare il chiarore che balzava da una croda all’altra e che scendeva dalle pareti in rivoli scintillanti.
Vedeva cioè le dolomiti come le vediamo noi adesso, non rocce morte ma vive, che cambiano colore al variare della luce del giorno e delle stagioni; una meravigliosa sinfonia cromatica che inizia al mattino, quando il primo sole lambisce le guglie mentre la valle è ancora in ombra, e continua sino alla sera, quando gli ultimi bagliori del tramonto infiammano le vette al di sopra delle valli già oscurate.
E' appunto all’alba ed al tramonto che l’incantesimo si manifesta nel modo più straordinario; una tavolozza di colori che mutano in pochi minuti, impossibile a descrivere e che le genti ladine chiamano “enrosadira”.
E' inutile dire che Misurina guarì immediatamente. Scesa dal letto, cominciò a mangiare voracemente, poi si mise a ballare, a cantare: chiamò a gran voce il suo amato Carbonin ed insieme ringraziarono iddio per quel grandissimo dono.
Ebbero molti figli e vissero felici e contenti per lunghissimi anni.
E furono felicissimi anche i valligiani, i montanari ed i pastori che, per non dimenticare quel prodigio, cambiarono il nome di re Carbon in Cristallo, diedero il nome di Misurina al lago nel quale si specchiava la luna, chiamarono cristallino la cima sulla quale il principe si appostava e battezzarono le Tre Cime di Lavaredo.
Chi, ai nostri giorni, ha la fortuna di percorrere la manciata di chilometri che collega il lago di Landro a quello di Misurina, può vedere lo sfavillio dei ghiacciai del cristallo, le guglie sanguigne della croda rossa e la magnificenza delle Tre Cime di Lavaredo.
Se un attento osservatore nota qualche zona scura che interrompe l’armonia del colore delle pareti, deve sapere che proprio lì, in quella mitica notte, operarono le marmotte che, naturalmente, ad un certo punto si addormentarono e non terminarono il loro compito.
Chi cammina in ottobre sugli alti sentieri incappa frequentemente in branchi di camosci e, dietro una curva, può vedere il rapido scatto di uno scoiattolo o di un gufo; sono i lontani discendenti degli animali che aiutarono gli gnomi a realizzare il miracolo. Ma… di Carbonin che cosa è rimasto?
E' rimasta una bellissima reggia, ancora intatta, che ha mantenuto il nome per ricordare a tutti che la leggenda è diventata una meravigliosa realtà.